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il vortice 89


di una massa d’acqua che cade dall’alto; era un sordo boato continuato, inesplicabile.

L’ingegnere, Burthon, O’Connor e Morgan, si guardarono in faccia con inquietudine.

— Un nuovo pericolo forse? chiese il meticcio.

— Forse, rispose sir John.

— Andiamo innanzi?

— Sempre.

La galleria cominciava allora ad allargarsi, ma l’acqua, invece di rallentare il corso, scendeva con furia estrema.

O’Connor si era collocato a prua con una sbarra fra le mani, pronto ad immergerla ed arrestare così il battello. Vi era da pochi minuti, quando un urto assai più forte di quello accaduto prima, lo rovesciò. Burthon, sir John e Morgan, che si tenevano a poppa, andarono pure a gambe levate. Le quattro lampade, rovesciate dall’urto, si spensero. Un’oscurità perfetta invase il tunnel.

L’Huascar rollava furiosamente, come se quello stretto canale fosse diventato un braccio di mare spazzato dalla tempesta. Ondate gigantesche, schiumeggianti, lo urtavano a prua, a poppa, a babordo, a tribordo, saltando sopra i bordi.

— In piedi! in piedi! gridò sir John.

Si precipitò a prua per vedere quale era la causa che sollevava quelle ondate che muggivano orrendamente; ma, come si disse, le lampade si erano spente e l’oscurità era profondissima. Alzò le mani e con sua grande sorpresa non trovò più la vôlta che un istante prima era tanto bassa da non permettergli di tenersi in piedi.

— Dove siamo noi? si domandò.

La sua voce fu coperta da fortissimi boati che pareva provenissero dal basso. Cacciò una mano nell’acqua e s’accorse che il battello correva