Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. I.djvu/81


l’acqua salata 79


pezzi di carbone, li gettò nel braciere e chiuse lo sportello.

La macchina che stava già per arrestarsi, nuovamente alimentata ricominciò a funzionare rapidissimamente. Il battello, rollando sempre assai, fuggì verso il sud salendo le ondate che l’assalivano da tutte le parti urlando come una banda di molossi.

Il franamento non era ancor terminato. A prua, a poppa, a babordo, a tribordo, s’udivano i macigni staccarsi e inabissarsi tormentando le acque per ogni dove.

Quattrocento metri erano stati già percorsi dal battello, quando una nuova convulsione agitò la vôlta dell’immensa caverna. Enormi frane capitombolarono nel lago le cui acque si risollevarono con nuova furia. Ad un tratto uno strano spettacolo s’offerse agli occhi dell’ingegnere e dei suoi compagni.

Per di qua, per di là, in alto e in basso dei punti luminosi apparivano. Sembravano stelle, ma stelle impazzite, che danzavano disordinatamente, ora slanciandosi in alto, ora orizzontalmente, tracciando lunghe traiettorie, ora apparendo e ora scomparendo. Cosa strana, inaudita, incredibile: quei punti luminosi, quei fuochi o stelle che fossero, sorgevano tutti dalle acque e vi ricadevano per poi ritornare fuori e ancora precipitare.

— Che sono quelle cose là? esclamò il meticcio. È la fine del mondo questa?

Proprio in quell’istante si udì O’Connor gridare:

— Macchina indietro, Morgan!

— Che c’è? chiese sir John.

— Abbiamo la spiaggia dinanzi.

— Vira e seguiamola.