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78 capitolo x.


Un fracasso orrendo, spaventevole soffocò la sua voce. La immensa vôlta, scossa chissà mai da quale fonomeno, franava in cento luoghi. Rupi intere, macigni colossali, rottami d’ogni sorta precipitavano dall’alto solcando le tenebre con sordi fischi inabissandosi e sollevando le acque a mostruosa altezza. Qua e là, da quegli squarci rovesciavansi, assieme a una vera tempesta di sassi, furiosi torrenti con muggiti giammai uditi.

Era una scena terribile, resa ancor più terribile dalla profonda oscurità.

Il battello, urtato da tutte le parti, ora sollevato a prodigiosa altezza e ora scagliato in profondissimi abissi dai quali penava uscire, non correva quasi più. Si raddrizzava, si impoppava, si sbandava a tribordo, si rovesciava a babordo, cacciato innanzi o risospinto.

Vi erano certi momenti che la prua scompariva tutta intera nel seno delle acque spumeggianti mentre l’elica girava nel vuoto.

Burthon, O’Connor e Morgan, atterriti, assordati, acciecati dall’acqua, ora precipitati contro una murata e ora contro l’altra, non sapevano più in che mondo fossero. Solamente l’ingegnere conservava un po’ di calma in mezzo a quell’orrendo tramestìo d’acqua e a quella grandine di rottami che oscurava talvolta la rossastra luce delle lanterne.

Dopo di esser stato rovesciato s’era gettato a poppa aggrappandosi alla barra del timone. La sua voce risuonò come una tromba fra i muggiti delle acque e i tonfi dei macigni.

— Morgan! alla tua macchina! Coraggio amici!

Il macchinista, malgrado i disperati rollii del battello si precipitò verso il forno che stava per essere spento dall’acqua. Afferrò tre o quattro