Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. I.djvu/64

62 capitolo viii.


scesero a terra. I loro occhi si volsero subito verso la gigantesca cateratta che empiva le tenebrose vôlte di mille fragori.

Lo spettacolo era superbo. La massa delle acque si precipitava giù con veemenza incredibile su di un pendio fortemente inclinato, accavallandosi, frangendosi e rifrangendosi contro le rupi e le roccie e schiacciandosi, per così dire, contro il fondo, dove a poco a poco si calmava scorrendo verso il sud-ovest attraverso a oscure gallerie.

Al vivido chiarore della torcia del bengala, pareva una fiumana di ardente lava, precipitante lungo i fianchi scoscesi di un vulcano. I muggiti, centuplicati dall’eco, potevansi benissimo scambiare pei boati del mostro eruttante fuoco e la nube di spuma per una immensa nube di fumo illuminata dalle fiamme.

— Corpo d’un cannone! esclamò Burthon. Io tremo ancora pensando che noi siamo discesi entro un battello. Vi giuro, sir John, che non ho mai provato una emozione così forte e che non vorrei provarla una seconda volta.

— Io non dava due soldi della mia pelle, disse O’Connor. Quando il battello urtò mi credetti morto e raccomandai la mia povera anima S. Patrick.

— Ve lo aveva detto io che il viaggio non sarebbe stato facile, disse l’ingegnere. Esaminiamo il battello e se nulla ha di rotto, partiamo.

Ridiscesero la riva e risalirono nel battello. C’era una mezza tonnellata d’acqua dentro, ma nè la macchina nè lo scafo avevano sofferto in quella discesa.

Con alcuni mastelli vuotarono l’acqua che aveva recato, fortunatamente, pochissimi danni, essendo le casse e i barili ben chiusi, indi Morgan accese la macchina.