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57 la cateratta


— Che ci sia una cateratta? chiese Burthon.

— Potrebbe essere, disse sir John.

— E se fosse insuperabile?

— Se sono passati gli Inchi, passeremo anche noi.

La corrente che poco prima era appena sensibile, diventava, man mano che s’avanzavano, rapidissima e il fragore diventava davvero formidabile. I quattro esploratori non sapendo con certezza di che trattavasi, diventavano ognor più inquieti. Quel pericolo ignoto, forse insuperabile pel loro battello, forse terribile, forse inaspettato, spaventava lo stesso ingegnere.

Ben presto, a dieci o quindici metri a prua, apparvero innumerevoli scogliere, fitte fitte, nere, aguzze, altissime. Erano disposte in modo che arrestavano quasi la corrente la quale vi si infrangeva contro alzandosi, schiumeggiando, muggendo.

— Adagio, Morgan, disse l’ingegnere. Se urtiamo l’Huascar si sventrerà.

Il macchinista si affrettò a rallentare la velocità del battello, il quale, guidato dalla mano di ferro di O’Connor, procedette con prudenza, cercando un passaggio.

Dopo aver percorso per un duecento metri la fronte di quella formidabile barriera, dietro la quale se ne scorgevano parecchie altre non meno formidabili, il battello si cacciò in un angusto e tortuoso canale, dove l’acqua vi si precipitava con furia irresistibile. Tre volte l’Huascar sfiorò con uno stridore metallico quei pericolosi scogli ma passò e senza malanni.

Dietro quelle barriere la corrente era rapidissima, irresistibile e produceva un fragore tale che l’ingegnere era costretto a gridare per dare i comandi.