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50 | capitolo vi. |
E non si ingannava. Le rocce, fin dove giungeva la luce delle lampade, scomparivano sotto un fitto strato di grossi topi dal mantello grigio-ferro. Erano centomila, forse duecentomila, forse cinquecentomila roditori resi feroci dalla fame, pronti a piombare sulla preda e ripulirle le ossa meglio d’un preparatore d’anatomia.
— Quale spettacolo! esclamò Burthon.
— In ritirata! gridò sir John.
— La via è tagliata, disse Morgan. Il battello è dietro a quei battaglioni.
— Cerchiamo di aprirci il passo.
I primi battaglioni erano vicini. L’ingegnere, Burthon, Morgan e O’Connor, impugnate le carabine per la canna cominciarono a picchiare a destra e a sinistra. Fatica inutile! Ne ammazzavano dieci e se ne vedevano dinanzi diecimila i quali s’avanzavano sempre empiendo l’aria di acute strida. E quella non era che l’avanguardia!
L’assalto diventa ben presto formidabile. I topi rovesciano le lampade e s’arrampicano su per le gambe dei cacciatori e dell’ingegnere, i quali hanno un gran da fare a liberarsene.
Burthon ne ha già tre o quattro nelle sue saccocce; Morgan ha i calzoni a brandelli; l’ingegnere e O’Connor non ne possono più.
Bisognava assolutamente ritirarsi.
— Battiamocela! gridò Burthon.
— In ritirata! comandò l’ingegnere.
Raccolsero le lampade e se la diedero a tutte gambe, mentre i feroci roditori spolpavano i cadaveri dei compagni.
Duecento passi più innanzi c’era una roccia alta due o tre metri e le cui pareti erano tagliate a picco. L’ingegnere e i tre cacciatori in un batter d’occhio vi si arrampicarono mettendosi al sicuro.