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44 capitolo v.


— Gl’Indiani dell’America del Sud li mangiano.

— Se si mangiano i gimnoti, si mangierà anche questo serpente. Farò una indigestione per vendicarmi.

— E se questo pesce fulminasse anche dopo morto? disse O’Connor, che si teneva prudentemente lontano.

— Non vedi che lo prendo impunemente in mano? rispose l’ingegnere. Non aver paura marinaio.

— Hum! fe’ l’irlandese, tentennando il capo. Lì sotto c’è la coda del diavolo, ne sono certo.

— Accendiamo il fuoco e mettiamolo a bollire questo gim.... gim.... Che razza di nome inventato per dannare i galantuomini.

— Adagio, Burthon, disse l’ingegnere. Andremo a pranzare a terra. Ehi, Morgan, alla tua macchina.

Il macchinista si collocò dinanzi al fornello e pochi istanti dopo il battello navigava verso l’ovest, lasciandosi a poppa una scia fosforescente.

Man mano che procedeva, enormi colonnati, bizzarramente traforati, uscivano dalla nera massa delle acque inalzandosi verso la vôlta, alla quale dovevano certamente unirsi. O’Connor, che erasi collocato alla barra, aveva un gran da fare per evitarli.

Tre miglia erano state di già percorse, quando l’ingegnere scorse, a dodici o tredici metri da prua, una massa confusa di rocce. Ebbe appena il tempo di gridare: macchina indietro! Vira!

Il battello a vapore virò impetuosamente di bordo venendo ad addossarsi alle roccie contro le quali urtò con un suono metallico che fe’ vibrare gli echi della gigantesca caverna.

Sir John saltò sulla riva e legò il battello alla sporgenza di una roccia. O’Connor e il meticcio