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42 | capitolo v. |
— Sono pesci che guizzano in acque sature di uova, disse l’ingegnere.
— Se si provasse a pescarne uno? disse Burthon.
— Sei pazzo! esclamò O’Connor. Pescherai qualche diavoletto.
— Getta la rete, disse l’ingegnere. Sono curioso di vedere che pesci vivono quaggiù.
Burthon andò a cercare a poppa una piccola rete che il previdente ingegnere aveva fatto imbarcare, e la gettò a poppa mentre il battello, trascinato da una debole corrente, s’avanzava nel mezzo dell’ampia caverna.
Le acque si erano allora tranquillate e i solchi luminosi erano diventati rarissimi. Sir John, Morgan, O’Connor e il meticcio, curvi sulla poppa, spiavano ansiosamente l’arrivo dei pesci.
— Eccoli, mormorò ad un tratto il meticcio.
Un legger solco luminoso era apparso a pochi passi dalla poppa del battello. Quasi subito O’Connor, che teneva in mano l’estremità della rete, provò una scossa e tale da intorpidirgli le braccia.
— Issa, Burthon, borbottò. Il diavolo è preso.
Quattro braccia vigorose sollevarono la rete che si agitava diabolicamente. L’ingegnere, appena essa fu fuor dall’acqua, abbassò la lampada.
— To! esclamò. È un’anguilla.
— Corna di cervo! tuonò il meticcio. Ed è lunga due metri! Issa!
La rete fu tirata a bordo e lasciata cadere nel fondo del battello. Un pesce, o meglio una specie di serpente, lungo circa due metri e grosso quanto il braccio d’un uomo, si dibatteva disperatamente fra le maglie cercando di battersela.
— Piano, piano, mio caro, disse Burthon. Abbiamo la pentola che t’aspetta.