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28 capitolo iii.


tero carico che doveva servire agli audaci cercatori dei tesori degli Inchi.

— Al lavoro, disse l’ingegnere. Prima dell’alba bisogna che tutto sia finito onde nessuno sappia che noi entriamo nelle viscere della terra.

— E non parleranno le guide? gli chiese Morgan in un orecchio.

— Mi hanno giurato che manterranno un silenzio assoluto e io li credo uomini d’onore.

Burthon, Morgan, il capo delle guide con dieci dei suoi uomini e venti negri muniti tutti di torcie e di lampade si calarono nella caverna; l’ingegnere, Morgan e gli altri, fissati numerosi paranchi cominciarono a scaricare il forgone e a far scendere i colli ognuno dei quali non pesava più di sessanta chilogrammi.

In meno di due ore i pezzi del battello, la macchina, le provviste, gli istrumenti, le vesti, le armi, tuttociò insomma che l’ingegnere aveva acquistato, giacevano nel fondo del pozzo. Non restava che di trasportarli sull’orlo del Maelstroom.

Sir John fece riposare un po’ i suoi uomini, li rinforzò con un’abbondante razione di wisky, poi, distribuite parecchie torcie, diede il segnale di mettersi in marcia.

I cinquanta negri, le guide e i tre cacciatori, carichi come muli, intrapresero animosamente il primo viaggio conservando il più assoluto silenzio.

Aspra era la via, ora ascendente ed ora discendente, interrotta di quando in quando da furiosi torrenti che si precipitavano da alte rupi entro profondi crepacci, da macigni enormi, da vie sdrucciolevolissime ove era difficile a tenersi in piedi, ma quegli uomini possedevano delle gambe di ferro ed erano forti come ercoli.