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26 capitolo iii.


sorprendono, spaventano e fan quasi credere che una legione di folletti si nasconda nei bui antri: la Dimora degli Invalidi entro la quale vegetano i malati di petto, la Cupola Stellata, immensa, superba, costellata di migliaia e migliaia di faccette che scintillano stranamente ai chiarori delle fiaccole; è là infine che ammirasi il Mar Morto, nera e tranquilla superficie d’acqua che perdesi sotto cupe vôlte e che all’estremità di una spaventevole galleria apresi il misterioso Maelstroom, il gran baratro che doveva menare l’ingegnere e i cacciatori alla scoperta dei famosi tesori degli Inchi.

Fedeli agli ordini ricevuti da sir John, Morgan, Burthon e O’Connor, venduti quei pochi oggetti che possedevano, alloggiavano da quindici giorni in uno di quei numerosi alberghi che sorgono nelle vicinanze della meravigliosa caverna.

Avevano stretta intima amicizia colle guide, alle quali pagavano spesso qualche bottiglia di wiscky o di gin e fingendosi appassionati geologi, avevano visitato minutamente la caverna e specialmente la galleria che metteva capo al Maelstroom.

Il sedicesimo giorno, nel momento che Morgan scendeva le scale dell’albergo per recarsi nella caverna, s’imbatteva nell’ingegnere Webher allora allora giunto.

— Di già, signore? chiese Morgan, stringendo vigorosamente la mano che sir John gli porgeva.

— Conducimi nella tua stanza, poi parleremo.

Morgan lo fece entrare in una stanza arredata con eleganza e gli offerse una comoda sedia.

— Tutto è pronto, disse sir John. A due miglia da qui, sull’orlo di un bosco, c’è il carico.

— È pesante?