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il tesoro degli inchi | 13 |
la miseria, li leggerai e se tu farai quanto ti indicheranno
avrai tanto oro da comperare capanne,
cavalli, armi e viveri per tutti i nostri fratelli
rossi dell’America.
«Ciò detto chiuse gli occhi nè più gli riaprì. La sua anima era volata in grembo al Grande Spirito.»
Giunto a questo punto Smoky si arrestò per riprendere forza. La sua voce era diventata ancora più fioca e un abbondante sudore viscoso scendevagli sulla fronte e sulle gote.
— Non proseguire, amico, gli disse l’ingegnere. Affretterai la tua morte.
— Bisogna che parli, rispose l’indiano con fermezza. Io lo voglio.
— Riposa un po’ almeno.
L’indiano fece un gesto negativo e proseguì:
— Ciò che mio padre aveva previsto, accadde. La mia tribù, perseguitata dai nemici, depredata dai bianchi e dai rossi, cadde nella più estrema miseria ed ora va ramingando sulle rive del Mississippi e su quelle dell’Ohio incalzata dalla fame e dal freddo. Se nessuno la soccorre in breve gli ultimi Shawani scompariranno.
— E le cassette? chiese l’ingegnere. Non le hai aperte tu?
— Sì, e parecchie volte.
— Cosa contenevano?
— Dei documenti in doppia copia, ma che non riuscii mai a decifrare.
— Dove sono queste cassette?
— Una, che tenevo celata in questa capanna, mi fu rubata dagli uomini che mi cacciarono in petto le due palle. L’altra è nascosta nel bosco.
L’indiano tornò ad arrestarsi, ma dopo pochi istanti ripigliò: