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10 capitolo i.


Alla una del mattino i due cavalieri, dopo aver costeggiato per qualche tratto la riva destra del Green, grosso corso d’acqua che scaricasi nell’Ohio, si cacciarono in mezzo ad un folto bosco di aceri dal cupo fogliame, battendo un sentiero appena tracciato.

Là sotto non pioveva, ma l’oscurità era così profonda che non ci vedevano più in là di tre passi e il vento ruggiva in modo tale da credere che il bosco fosse pieno di belve feroci.

Alle due, Burthon che segnava la via, piegò bruscamente verso est e dopo un tre o quattrocento metri si arrestava dinanzi ad una piccola capanna le cui finestre erano illuminate.

— A terra sir John, disse, scendendo di sella.

L’ingegnere obbedì e si diresse verso la capanna lasciando al compagno la cura di riparargli il cavallo.

Una vecchia negra lo ricevette sulla porta.

— Siete l’ingegnere Webher, gli chiese.

— In persona. Dorme Smoky?

— No signore.

— Come sta?

— Molto male. Non gli dò quattro ore di vita.

L’ingegnere entrò nella capanna. Si trovò in una stanza rettangolare, illuminata da una candela di sevo e molto meschinamente ammobiliata. Una tavola nel mezzo, alcune panche all’intorno, dei fucili appesi alle pareti, alcune scuri indiane, qualche coltello, delle corna di bisonte, delle pelli, delle fiaschette, dei mocassini ricamati, alcune vesti ammucchiate in un angolo e in fondo un letto sul quale rantolava un uomo molto vecchio, molto scarno, di tinta rossastra e con una capigliatura assai lunga e ancora nera.

L’ingegnere si fermò un momento a mirare