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l'ingegnere webher 9


— Ve lo racconterò in poche parole. Il povero Smoky, quindici giorni or sono, tornava alla sua casupola con un tacchino selvatico che aveva ucciso in un bosco. Ad un tratto tre uomini che stavano nascosti dietro ad un albero fecero fuoco su di lui, e appena lo videro cadere gli sfondarono la porta della capanna e gli rubarono quanto possedeva.

— E dove l’avevano colpito?

— In mezzo al petto con due palle. Appena io fui avvertito corsi a trovarlo e lo curai, ma stamane lo stato del ferito si aggravò tanto, che come vi dissi, temo non veda il sole di domani.

— E chi sono gli assassini?

— Li conosco tutti e tre. Uno è un bianco, certo Carnot, gli altri due sono scorridori di prateria.

— E dove sono ora?

— Avranno attraversato il Mississippi e si saranno rifugiati nelle grandi praterie dell’ovest. Ma vi giuro signore, che li troverò e ben presto.

— Hai intenzione di ritornare nelle grandi praterie?

— Non c’è più selvaggina nel Kentucky, sir John.

— Sei solo ora?

— No, sono sempre assieme a O’Connor e a Morgan.

— Sono presso Smoky i tuoi compagni?

— Non lo credo. Stamane mi dicevano che volevano battere un certo bosco ove erano state trovate le traccie di un orso.

— Sai perchè Smoky desidera vedermi?

— Per parlarvi, vi ho detto.

— Povero Smoky, mormorò l’ingegnere. Affrettiamoci, Burthon.