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106 capitolo xiii.


Si recarono al battello a prendere le coperte e si stesero a breve distanza dalla cateratta, l’un vicino all’altro.

Il sonno non fu affatto tranquillo. Bande numerosissime di audacissimi topi, attirate forse dall’odore dei rimasugli del pasto, assalirono più volte l’accampamento, niente spaventati dal fuoco che ardeva sempre. O’Connor dovette alzarsi più volte e scaricare qualche pistolettata, e Burthon rivoltare il pentolone che veniva colmato da quei feroci roditori.

L’indomani, dopo ben quattordici ore di sonno, empivano i barili d’acqua dolce e s’imbarcavano risalendo il fiume che andava a poco a poco restringendosi.

Le rive erano interamente cambiate. A quegli eterni muraglioni erano succedute bizzarre rocce, nerissime, liscie e che rilucevano vivamente sotto i riflessi delle lampade. Parevano enormi massi di carbon fossile, anzi l’ingegnere più volte fece accostare il battello per assicurarsi co’ propri occhi che altro non erano che rupi, di una durezza senza pari e di una lucentezza veramente straordinaria.

Da due ore circa salivano, quando il fiume piegò bruscamente verso il sud. Quasi subito, un forte fragore, come d’una corrente d’acqua che cade da una grande altezza, giunse agli orecchi dei naviganti.

— Frena! gridò sir John a Morgan.

— C’è una cateratta, disse O’Connor.

— La odo, rispose l’ingegnere. Avanziamo con prudenza.

Il fiume si restringeva sempre più e le sue acque correvano con maggiore rapidità, formando dei gorghi vertiginosi che il battello però supe-