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102 capitolo xiii.


sta e le mani nelle fresche e limpide onde. I disgraziati bevevano, bevevano, bevevano, senza arrestarsi, senza quasi respirare, emettendo urla di trionfo, urla di pazza gioia.

— Bevo! Bevo! gridava Burthon fuori di sè.

— S. Patrick sia ringraziato, balbettava l’irlandese che aspirava l’acqua come una tromba.

E bevevano tutti, e la sentivano correre fresca fresca per la bocca e scendere nel loro stomaco arso come la loro gola, come la loro lingua, come le loro labbra. Pareva che non dovessero finire più; pareva che volessero esaurire lo stagno e ingoiare la stessa colonna d’acqua che rimbalzava sulle rocce spruzzando le loro teste e i loro abiti.

— Basta, disse finalmente sir John, strappandoli uno ad uno dalle rive. Se continuate ancora un poco vi guadagnerete qualche serio guaio.

— Ah! come è eccellente quell’acqua lì! esclamò il meticcio. Il gin, il brandy, il wisky, il porter non valgono nulla in confronto di quest’acqua. Chi avrebbe detto che io mi sarei ubbriacato d’acqua?

Spenta la sete pensarono a mangiare. Da venti a venticinque ore non avevano messo sotto i denti un pezzo di biscotto e si sentivano sfiniti. O’Connor s’affrettò ad accendere un gran falò con un barile sfondato e alcuni pezzetti di carbone, empì il pentolone di carne, di legumi, di riso e lo mise a bollire mentre Burthon friggeva dei larghi pezzi di presciutto.

Due ore dopo sir John e i tre cacciatori si sedevano a terra e assalivano vigorosamente quel pasto che in un batter d’occhio scomparve nei loro stomaci. Vuotata una tazza di wisky, accesero le pipe e si sdraiarono fra le rocce.