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100 capitolo xiii.


CAPITOLO XIII.

Il lago di petrolio.

Se l’ingegnere avesse gridato: I tesori degli Inchi! probabilmente nessuno degli uomini che giacevano in fondo al battello come morti, si sarebbero scossi. Ma quell’urlo strozzato e ripetuto per tre volte di: l’ac...qua!... l’ac...qua!... l’ac...qua!... li fece balzare in piedi come se fossero stati toccati da una pila elettrica. Morgan dapprima, Burthon dopo, O’Connor ultimo, con uno sforzo supremo alzarono la testa, poi si rizzarono sulle ginocchia cogli occhi semi-spenti, le labbra aperte, i pugni raggrinzati, gli orecchi tesi.

— L’ac...qua!... l’ac...qua!... ripetè sir John aggrappandosi alla barra del timone.

Morgan lasciò sfuggire un rauco suono dalle screpolate labbra.

— Do...ve? burbugliò. Do...ve?...

L’ingegnere non rispose. Curvo innanzi, cogli occhi sbarrati, rattenendo il respiro, ascoltava in preda ad una terribile ansietà.

In lontananza si udiva un cupo fragore, come se una massa d’acqua si slanciasse da una grande altezza frangendosi sulle rocce. Non vi era più dubbio: un mezzo miglio più insù c’era una cascata e forse quell’acqua era dolce.