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98 | capitolo xii. |
— Sotto il Texas, se i miei calcoli non errano.
Burthon lo guardò senza comprendere e ricadde sul suo banco mandando un sordo rantolo.
Altre dodici ore passarono, poi altre dodici.
Da trentasei ore adunque non avevano sorseggiato un po’ d’acqua. Nessuno di essi reggevasi più in piedi.
Le loro labbra, esposte ogni due ore alle vampe della macchina che funzionava rabbiosamente, erano diventate nere e si screpolavano; la loro lingua era secca, dura e rifiutavasi di agire; la loro gola era pure arida e coperta da dure croste. Nessun suono usciva da quelle bocche.
Il quinto giorno la situazione non era cangiata. Il battello correva sempre rimontando la fiumana, che era ancora stretta fra quelle eterne muraglie cadenti a picco. Burthon rantolava in fondo al battello emettendo rauchi suoni; O’Connor, che aveva vuotata una bottiglia dell’orribile olio adoperato per l’illuminazione, rigettava; Morgan, mezzo arrostito dal fuoco della macchina, non dava quasi più segno di vita. Solamente sir John era ancora in sè e stava seduto a poppa, aggrappato alla barra del timone, colla fronte stretta nella mano sinistra.
Altre due ore scorsero — due ore lunghe come due giorni. Il battello, coi fuochi semi-spenti per mancanza di combustibile non avanzava che colla velocità di tre o quattro nodi all’ora, descrivendo dei zig-zag, a rischio di infrangersi contro le rocce. L’ingegnere tuttavia resisteva ancora e faceva sforzi disperati per non rotolare in fondo al battello.
Trasse l’orologio e guardò: erano le dieci antimeridiane.
— È fini...ta, rantolò.