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8 | capitolo i. |
— Non si tratta di andare alla caccia, sir John. Andiamo a trovare un uomo che sta per morire e che desidera parlare a voi.
— Un moribondo? E chi è?
— Ve lo dirò lungo il viaggio.
L’ingegnere vuotò la tazza e s’alzò subito.
— Partiamo, disse.
Burthon gettò un secchio d’acqua sul camino, si mise a tracolla un corno pieno di polvere e una borsa piena di palle e staccò dal chiodo un fucile.
— Hai un cavallo per te? chiese l’ingegnere.
— Ho il mio mustano. Andiamo, sir John.
Uscirono dalla catapecchia. Il cacciatore chiuse la porta a chiave e si recò sotto una tettoia dove stava un bel cavallo di prateria completamente bardato.
— Di galoppo! gridò, balzando agilmente in sella.
I due cavalli vigorosamente spronati partirono ventre a terra lasciandosi sulla destra Munfordsville.
La notte era sempre orribile e oscurissima. Un vento fortissimo e molto freddo fischiava rabbiosamente fra i rami delle quercie, degli aceri, dei faggi e degli olmi, torcendoli e spezzandoli e una pioggia più dirotta di prima cadeva scorrendo fra i solchi delle piantagioni. In nessun luogo si vedeva un’anima viva, nè in alcuna casa brillava un lume.
— Ma dove mi conduci? chiese l’ingegnere dopo qualche tempo, al compagno che galoppava al suo fianco.
— Da un moribondo che ricevette da voi sempre larghi aiuti, dall’indiano Smoky infine.
— Che! Smoky moribondo!..
— Sì, e temo che non veda il sole di domani.
— Che gli è accaduto? chiese l’ingegnere con voce commossa.