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64 al polo australe in velocipede


testa, un po’ avanti la pinna pettorale sinistra, producendogli una ferita spaventosa, lunga tre metri e profonda uno. Da quell’enorme spaccatura cadeva in mare, a rapide pulsazioni, un torrente di sangue nerastro, spumeggiante, il quale si dilatava rapidamente, arrossando l’acqua per un tratto vastissimo.

La pinna, che aveva una lunghezza di tre metri, spaccata alla sua congiunzione, pendeva lungo il corpo del gigante, agitandosi convulsamente.

Il cetaceo, che forse era stato colpito a morte, pareva furioso. La sua potente coda, che terminava in una pinna triangolare, larga non meno di sei metri, percuoteva con rabbia estrema l’acqua, sollevando delle ondate altissime, la sua immensa bocca, che misurava tre metri di larghezza su quattro di altezza, si apriva impetuosamente, mostrando i settecento fanoni pendenti dalla mascella superiore e assorbiva l’acqua con sordo fragore.

Stette per alcuni istanti immobile, ondeggiando fra il sangue che lo circondava, poi reso pazzo dal dolore e dal desiderio di vendicarsi, si precipitò innanzi con velocità incredibile, muovendo addosso alla goletta che virava allora di bordo.

Un grido di terrore echeggiò sulla coperta del legno. Guai se quel mostro lo investiva con quello slancio; un colpo di testa era più che sufficiente per rovesciarlo e mandare tutti gli uomini che lo montavano, a dormire per sempre sotto le fredde onde dell’oceano Australe.

Il capitano Bak non era però un uomo da spaventarsi, nè da perdere la sua calma. Prese subito il suo partito.

Comprendendo che non poteva sfuggire all’assalto del gigante, possedendo tali mostri una velocità vertiginosa, così rapida anzi da percorrere seicentosessanta metri al minuto, fidando nella robustezza eccezionale della goletta