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260 | al polo australe in velocipede |
l’accampamento portando con loro un pezzo di foca bastante a nutrirli per due giorni e si slanciavano a passo accelerato verso l’ovest. Poco dopo ripartivano gli altri colla slitta sulla quale erano stati deposti due marinai che non potevano reggersi in piedi, e la lettiga sulla quale si trovava Linderman, che ormai era pazzo e pazzo furioso.
Il freddo avendo gelato la neve, favoriva la marcia, e se non si scatenava qualche altra bufera, il primo drappello poteva raggiungere la costa in tre giorni, non essendovi da attraversare che una distanza di centoventi miglia.
Alle 9 di sera Wilkye fece fare una fermata per dare riposo ai suoi compagni, ma alle 10 ripartivano mantenendo il passo accelerato.
Non si accamparono che alla mezzanotte, dopo d’aver percorso ben quaranta miglia in sei ore. Alle otto del mattino, dopo d’aver assaggiato un pezzo di foca, riprendevano la corsa.
Il mare non doveva essere lontano. All’orizzonte si scorgevano delle alture e di quando in quando si vedevano apparire, verso l’ovest, alcuni punti neri che dovevano essere uccelli.
Fu una corsa furiosa: non camminavano, correvano come se fossero inseguiti. Wilkye, sempre dinanzi a tutti, dava l’esempio.
Alle 6 di sera sole venti miglia li separavano dalla costa. Il vento portava fino ai loro orecchi le cupe detonazioni dei ghiacci galleggianti.
Erano sfiniti, ma non si arrestarono ancora: una volontà irresistibile li spingeva innanzi. Alle nove di sera, nel momento che il sole scompariva sotto l’orizzonte, salutavano l’Oceano con un urràh fragoroso.