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capitolo xxvi. - la catastrofe della «stella polare» 255


— Fermi tutti!... esclamò. Presto, datemi un fucile! ...

— Avete scorto qualche foca? chiese Wilkye, accorrendo con due carabine.

— Non lo so, signore, ma laggiù vi è qualche cosa che si agita fra la neve. Guardate là, presso quell’hummok.

Wilkye guardò nella direzione indicata e con sua gran sorpresa vide una massa che pareva enorme, brunastra, che si avvoltolava nella neve. Sembrava che facesse sforzi disperati per rialzarsi, ma subito ricadeva.

— Che sia un orso, signor Wilkye? chiese Blunt.

— Un orso?... Mi pare che sia un animale colossale.

— Cosa sarà?

— Non lo so, ma lo sapremo presto: avanti e prudenza.

Mentre i marinai si nascondevano dietro alla slitta e dietro i cumuli di neve, i due cacciatori s’avanzavano strisciando, per far fuoco a breve distanza, onde essere sicuri dei loro colpi.

Intanto quella selvaggina di nuova specie, continuava a dibattersi. S’alzava, faceva due o tre passi, poi ricadeva e non si rimetteva in gambe che dopo lunghi sforzi.

Le sue forme erano così strane, che i due cacciatori non sapevano indovinare a quale specie appartenesse. Ora sembrava un orso, ora un elefante marino ritto sulle zampe posteriori ed ora una foca ricoperta da un immenso mantello.

Wilkye e Blunt erano giunti a duecento metri ed avevano puntato già i fucili, quando quell’essere bizzarro s’alzò, dicendo con voce cavernosa:

— To’!... Guarda degli uomini!... Ohe!... Mi credete un elefante marino o un orso per prendermi di mira? Dannato paese!... Poteva toccarmi di peggio?...

I due cacciatori lasciarono cadere le armi e balzarono in piedi emettendo alte grida: