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248 | al polo australe in velocipede |
— Non conosco amici.
— In nome dell’umanità.
— Parola vuota.
— Della scienza, per la quale noi abbiamo entrambi lottato.
— No!... esclamò l’inglese. Andatevene che io non ho bisogno di voi.
In quell’istante sette marinai cenciosi, sparuti, rôsi dallo scorbuto, semi-assiderati, si trascinarono fuori dalle tende, borbottando con accento straziante:
— Da... mangiare... signor... Wilkye!...
Blunt trasse dal suo sacco di viaggio i suoi ultimi biscotti per porgerli a quei disgraziati, ma Linderman gli si gettò dinanzi ed estratta la scure che teneva alla cintola, l’alzò verso i suoi marinai gridando con voce minacciosa:
— Vili!... Chiedete soccorsi al mio rivale!... Indietro o vi uccido!... Noi siamo inglesi, e costoro sono americani!...
— Signor Linderman, gridò Wilkye, facendosi innanzi. Qui non vi sono nè inglesi nè americani, ma uomini che hanno lottato insieme pel trionfo della scienza, fratelli che devono radunare i loro sforzi per riguadagnare la patria lontana. Basta, signore: le rivalità qui, in mezzo ai ghiacci del polo, mentre la fame sta per estinguere gli ultimi superstiti della Stella Polare, non devono sussistere.
— Andatevene dal mio campo! urlò Linderman. Io non vi conosco.
— È pazzo, signore, dissero i marinai.
— Pazzo! esclamò Wilkye con accento di dolore. Quali drammi si sono svolti dunque sulla Terra Alessandra?
— Andatevene, ripetè Linderman con voce furente.