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capitolo xxvi. - la catastrofe della «stella polare» | 247 |
gne e biancastre, con una barba lunga ed ispida che gli dava un aspetto selvaggio, con due occhi che mandavano strani bagliori, faceva ribrezzo. Le sue vesti, che cadevano a brandelli, pareva che coprissero un vero scheletro, poichè si gonfiavano da tutte le parti sotto i soffi impetuosi della bufera.
Egli guardò Wilkye e Blunt, che si erano arrestati, con due occhi che mandavano cupi lampi; poi, appoggiando la destra ischeletrita e quasi incancrenita dalla congelazione, sul manico della scure che teneva vicina, chiese con voce rauca:
— Cosa volete voi?...
— Gran Dio!... esclamò Wilkye rabbrividendo. Chi siete voi?...
Un sarcastico sorriso contorse le labbra di quell’uomo.
— Io sono... che importa a voi?... Andatevene!...
Ad un tratto Wilkye mandò un grido.
— Linderman!... esclamò. Disgraziato, in quale stato vi ritrovo!...
Si slanciò verso l’inglese per abbracciarlo, ma questi lo respinse bruscamente, dicendo:
— Non vi conosco: andatevene.
— Ma io sono Wilkye!...
— Wilkye, disse Linderman con voce sorda. Ah! sì, il mio rivale del polo!... E cosa volete voi?
— Soccorrervi, disse Wilkye.
— Avete scoperto il polo?
— Sì, Linderman.
— Meglio per voi e peggio per me. Andatevene: io nulla chiedo a voi, nè nulla voglio!
— Ma io non sono vostro nemico, Linderman. Io sono venuto qui per salvarvi, in nome della nostra antica amicizia.