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CAPITOLO XXVI.

La catastrofe della «Stella Polare».

A cinquecento passi dalle alture, presso una profonda spaccatura del suolo che si prolungava verso l’ovest, si rizzavano quattro tende, che la bufera di neve aveva ormai semi-strappate e piegate verso terra.

A breve distanza si scorgeva una scialuppa rovesciata, colla chiglia in aria, una slitta ed alcuni fucili che parevano fossero stati abbandonati all’aperto. Nessuna voce usciva dalle tende, ma da una sfuggiva, ad intervalli, del fumo nero e acre, che pareva prodotto dalla combustione di materie grasse.

Chi erano gli uomini che avevano cercato un riparo contro la bufera di neve sotto quelle tende? Erano Bisby ed i marinai americani od i superstiti della Stella Polare?

Wilkye e Blunt, in preda ad una viva ansietà e ad una profonda commozione, si erano messi a correre verso quelle tende. In pochi minuti giunsero presso alla prima e ne sollevarono un lembo, ma era vuota.

Stavano per visitare la seconda, quando un uomo, che stava sdraiato, insensibile al vento gelido del sud ed ai furori della burrasca, s’alzò, scuotendosi di dosso la neve che lo aveva quasi sepolto.

Parve ai due esploratori che si rizzasse innanzi a loro un fantasma, peggio ancora, uno scheletro vivente. Quel disgraziato, che doveva aver sofferto dolori e privazioni d’ogni specie, faceva insieme paura e pietà.

Il suo viso scheletrito, coperto di macchie sangui-