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un paio di grossi guanti ed un berretto di pelo, forse appartenenti al morto.

Wilkye e Blunt fuggirono inorriditi e s’allontanarono rapidamente da quel triste luogo. Ormai ne sapevano abbastanza della catastrofe che aveva colpito la spedizione inglese; volevano raggiungere i superstiti per cercare, generosamente, di soccorrerli prima che tutti cadessero, per non più rialzarsi, sulle pianure nevose del continente australe.

Quei disgraziati che li precedevano, cercando di raggiungere la costa di Graham, non dovevano essere lontani. Quella croce era stata piantata troppo recentemente per ingannarsi.

Affrettarono la marcia, facendo sforzi prodigiosi per guadagnare più cammino. Peruschi, per sollevarli un po’, di tratto in tratto scendeva dalla lettiga, specialmente quando dovevano superare delle alture.

Il 9 marzo non erano più che a duecento miglia dalla costa, ma la spedizione inglese non era ancora stata raggiunta. Le sue tracce però si moltiplicavano; avevano trovato un’altra croce, quindi gli avanzi di una scialuppa, poi una caldaia abbandonata in fondo a un crepaccio e contenente della neve semi-sciolta.

Il 10 la neve ricominciò a cadere, ma con furia estrema. Un vento impetuoso la sbatteva in tutti i versi, la sollevava in forma di fitte nubi e l’ammonticchiava qua e là, rendendo penosissima la marcia degli esploratori.

Wilkye voleva arrestarsi per concedere un po’ di riposo ai compagni, ma i due bravi giovanotti rifiutarono. Sentivano per istinto che i superstiti della Stella Polare non dovevano essere lontani.

Lottando energicamente contro la bufera che li incalzava e li gelava, tirarono innanzi con incredibile costanza,