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capitolo xxv. - le vittime del polo 241


— Forse i superstiti della Stella Polare ne trascinano qualcuna con loro.

— Cosa facciamo, signor Wilkye?

— Bisogna tentare di raggiungere la spedizione inglese e riunire le nostre forze per la salvezza di tutti.

— Acconsentirà il signor Linderman? Vi ricorderete ciò che vi disse nel lasciarvi: d’ora innanzi noi saremo nemici, e fieri nemici.

— La sventura l’avrà domato, Blunt. Temo che il suo equipaggio sia alle prese colla fame e collo scorbuto. Affrettiamoci: ci precedono di tre soli giorni e potremo facilmente raggiungerli.

Ritornarono alla lettiga ed informarono Peruschi della triste scoperta. Il bravo giovanotto s’offerse di camminare, avendo cominciato a sentirsi meglio, ma Wilkye, temendo una ricaduta, vi si oppose.

Ripartirono più rapidamente che poterono, spingendo con sovrumana energia le biciclette, salendo e discendendo parecchie catene di colline che correvano dall’est all’ovest.

Alle sette di sera, dopo una marcia di trentasei miglia, scoprivano una scure, il cui manico sporgeva dalla neve, e poco oltre un rampone ed i frammenti di una bottiglia i quali esalavano ancora un acuto odore di gin.

Il 7 un’altra lugubre scoperta: era un’altra croce, piantata di recente, poiché portava la data del 5 gennaio. Non aveva che due iniziali: K. F., Chi poteva essere il disgraziato che riposava fra i ghiacci del continente australe? Era senza dubbio un marinaio della Stella Polare, un altro che non doveva più mai rivedere la patria; un altro che era spirato fra le gelide strette del polo, forse spento dalla fame o dallo scorbuto.

Poco lontano, gli esploratori raccolsero un fucile carico,