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222 | al polo australe in velocipede |
Poco dopo un grand’arco irregolare, di circa 30° d’elevazione, appariva subitamente, lanciando verso il cielo dei raggi immensi che subivano strane e rapide contrazioni, ma di una tinta pallida, quasi incolore.
Era un’aurora australe. Le aurore del Polo Sud non hanno lo splendore di quelle del Nord, così ricche di tinte rosse, verdi, azzurre, e non hanno nè l’intensità, nè la durata di quelle.
Sembrano baleni, poichè appariscono e scompariscono con grande rapidità. Quali sono le cause che le producono e perchè non sono eguali, mentre sorgono là dove il freddo è ugualmente intenso? La scienza si è finora trovata impotente a svelare i misteri di quei fenomeni e si è limitata a supporre che derivino da un grande accumulamento di elettricità, supposizione forse giusta, considerato che in quelle alte latitudini gli uragani sono radi e che la siccità dell’aria è estrema.
Il 9, dopo una corsa penosissima attraverso il campo di ghiaccio, gli esploratori si trovavano improvvisamente dinanzi ad un braccio di mare largo parecchie miglia e coperto di ghiacci galleggianti. La via era tagliata e si vedevano nell’impossibilità di proseguire.
Quella vista li atterrì. Dove si trovavano ora? Cosa era avvenuto? Perché quel grande campo non era più unito al continente?
— Che il banco si sia spezzato? chiese Blunt a Wilkye, che lanciava sguardi disperati su quel braccio di mare.
— Non lo so, rispose questi, con voce sorda.
— Abbiamo sempre seguito l’istesso meridiano?
— Sì; approssimativamente sempre il 66°.
— Dunque dovremmo, colla via che abbiamo percorsa, trovarci presso il continente.