Pagina:Salgari - Al polo australe in velocipede.djvu/229


capitolo xxiii. - il ritorno alla costa 221


prima affrontavo sorridendo, ora mi fa paura e mi pare che mediti non so quale tradimento. Orsù, non scoraggiamoci e rizziamo la tenda.

S’accamparono, e demolito il cairn che era rimasto intatto come l’altro, estrassero le loro ultime ricchezze le quali consistevano in quindici chilogrammi di biscotto, in sei scatole di the, un po’ di zucchero, dieci chilogrammi di pemmican, in due libbre di cioccolato ed in otto litri di alcool.

Mettendosi a razione ed economizzando più che era possibile, potevano tirare innanzi una ventina di giorni. Sarebbe stato bastante, quel tempo, per raggiungere la costa che si trovava lontana oltre mille miglia? Se non incontravano tanti ostacoli, potevano sperarlo, poichè malgrado il freddo aumentasse sempre, si sentivano capaci di percorrere dalle ottanta alle cento miglia al giorno.

Durante quei due giorni dedicati al riposo, nulla accadde di straordinario. Il grande banco non si mosse, sicchè poterono dormire tranquillamente e ricuperare le forze delle quali avevano tanto bisogno.

La mattina del 6 febbraio, ripartiti i viveri, riprendevano la corsa attraverso i ghiacci, ma fra mille ostacoli che li costringevano a frequenti fermate per superare a piedi delle vere montagne di ghiaccio ed a fare giri immensi per evitare le spaccature che si moltiplicavano dinanzi a loro.

La notte del 7, poco dopo che il sole era scomparso, una luce biancastra, ma intensa, apparve improvvisamente verso il sud-ovest, illuminando l’immenso campo di ghiaccio e facendo scintillare vivamente gli ice-bergs, le piramidi, le cupole e le colonne che si rizzavano in tutte le direzioni.