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Il 3 febbraio, completamente sfiniti ed affamati, avendo ormai esaurite le loro provviste, giungevano al secondo cairn, presso cui, assai rovinata dalle pressioni, s’irrugginiva la loro macchina. Ah! Se avessero avuto almeno del grasso di foca per rimetterla in movimento e lanciarsi verso la costa!... Ma no, le foche erano scomparse, la provvista di petrolio era esaurita e nel cairn non possedevano che pochi litri di alcool che dovevano consumare, se volevano cucinare le loro vivande e riscaldare la loro tenda durante i freddi della notte.

— Fermiamoci qui un paio di giorni, amici, disse Wilkye. Siamo esausti.

— Non ne posso più, signore, disse Blunt. La fatica, l’insonnia e la fame mi hanno sfinito.

— Ed io mi reggo in piedi per un miracolo d’equilibrio, disse Peruschi. Quanta via dovremo ancora percorrere, signor Wilkye?

— Circa mille miglia.

— È assai lunga, signore! Quei crepacci ci han fatto perdere un tempo prezioso e triplicare la marcia.

— Speriamo che sul continente il ghiaccio sia migliore e ci permetta di procedere più rapidamente. Io non so, ma mi assalgono delle sinistre inquietudini, amici miei, e penso sempre a Bisby ed ai marinai che abbiamo lasciati alla costa.

— Cosa temete? chiese Blunt. Forse che ci abbiano abbandonati?

— Non lo so, ma sono inquieto e vorrei essere ormai giunto alla costa.

— Bisby non ci abbandonerà, signore.

— Lui no, ma gli altri? È già trascorso anche il tempo stabilito, e non so quanto impiegheremo a raggiungere quel punto... Questo deserto di ghiaccio, che