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attorno alle montagne di ghiaccio, ai crepacci, agli ostacoli d’ogni specie, senza rallentare.

— Animo, animo, che il polo ci è vicino! ripetevano.

Gli ostacoli però si moltiplicavano dinanzi a quel libero mare che scintillava verso il sud e dinanzi a quella montagna che prendeva proporzioni gigantesche. I passaggi diventavano sempre più radi fra gli ice-bergs i quali ormai pareva che chiudessero l’orizzonte meridionale e gli esploratori perdevano un tempo prezioso.

Alle otto antimeridiane, affranti dalla fatica e dall’insonnia, furono costretti a fermarsi nuovamente per riprendere lena. Ma ormai il mare libero era vicino e la grande montagna che si rizzava nel mezzo, era interamente visibile.

Alle 10, facendo un ultimo sforzo, intrapresero la scalata degli ice-bergs spingendo innanzi a loro le biciclette, e alle 11,50 giungevano, quasi improvvisamente, sull’orlo dell’immenso campo di ghiaccio, a pochi passi dal mare.

Un urrah fragoroso echeggiò sulle sponde di quel bacino, che mai, prima di allora, erano state calpestate da piede umano.

Wilkye estrasse il sestante, aspettò il mezzodì e fece rapidamente il calcolo.

— Amici miei, diss’egli con voce estremamente commossa e levandosi il berretto, noi siamo al polo australe!... Spiegate la bandiera dell’Unione Americana!...

Poi inoltrandosi verso quel mare, con voce solenne disse:

— Prendo possesso, in nome della mia patria, di questa regione. Forse nessun essere umano mai verrà a premere il suo piede su queste terre od alcuna nave a solcare le onde di questo mare, ma comunque sia, il polo australe ci appartiene.