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186 al polo australe in velocipede


Quale suprema lotta stavano per intraprendere e quali crudeli sofferenze stavano per affrontare?

Wilkye, disceso dalla macchina, si era seduto su di un hummock come fosse sfinito ed affranto da una tetra disperazione, e di là, colle braccia incrociate, le labbra strette, il viso pallido ed alterato, gettava cupi sguardi sull’immensa e silenziosa pianura che smarrivasi verso le lontane regioni del sud. Pareva immerso in profondi pensieri o in lotta contro una disperata risoluzione.

I suoi due compagni si erano intanto messi a scaricare i viveri, la tenda e tutto il corredo, accumulandoli sul ghiaccio. Sembravano però tranquilli e fidenti nel loro capo.

— Signor Wilkye, disse Peruschi, quand’ebbero terminato. Dobbiamo rizzare la tenda o ripartiamo? Possiamo provare le biciclette e guadagnare un altro grado, prima dell’ora della cena.

Wilkye si alzò e porgendo a loro le mani, disse con voce commossa:

— Siete due valorosi, due uomini degni di comparire a fianco dei più audaci esploratori. Dunque non vi spaventa ancora, questa corsa verso il polo?

— No, signore, e siamo pronti a seguirvi.

— È mio dovere di avvertirvi che stiamo per giuocare le nostre esistenze. I viveri ci possono mancare nel ritorno.

— Ci metteremo a razione, signore, disse Peruschi. Ve lo abbiamo già detto, noi non siamo venuti qui per fare una gita, ma per lottare contro gli ostacoli più tremendi, pur di spiegare la bandiera dell’Unione Americana ai confini del mondo.

— È vero, signore, confermò Blunt.

— Allora noi andremo al polo, amici, disse Wilkye.