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capitolo xix. - l’ultima goccia di petrolio 183


— Lo sapremo se giungeremo al polo. Affrettiamoci, amici: la provvista di petrolio sta per terminare ed in questa regione, fra un mese, può ricominciare l’inverno.

Risalirono sulla macchina e ripresero la corsa verso il sud, salendo e discendendo le ondulazioni di quella gran pianura.

Il 28, dopo una marcia rapidissima e quasi mai interrotta, giungevano all’84° di latitudine, senza aver incontrata alcuna catena di monti, nè alcun essere vivente. Quella sera il freddo quasi all’improvviso scese a -22°. Durante le due ore che il sole stette nascosto sotto l’orizzonte scese di altri 5°, e sotto la tenda, non più riscaldata dalla macchina per economizzare il petrolio, regnò una temperatura tale che i due velocipedisti, non abituati a quei rigori invernali, penarono assai a dormire e batterono i denti lunghe ore, quantunque Wilkye avesse acceso la piccola lampada ad alcool.

L’indomani il freddo non cessò. I tre esploratori si videro costretti a coprirsi le mani con grossi guanti foderati internamente di pelo ed il viso col cappuccio di pelle d’orso, per evitare la congelazione.

— Siamo in estate e comincia già l’inverno, disse Blunt. Brutto segno, signor Wilkye.

— Lo so, amico mio, e da oggi vi raccomando di non levarvi più i guanti, se non volete perdere le mani.

— Nemmeno di notte?

— Mai, Blunt.

— Sono le mani le prime a soffrire, mentre sono così necessarie?

— La temperatura della pelle non è uguale in tutto il nostro corpo. Le parti più esposte all’influenza dell’aria, come l’estremità del naso, gli orecchi e le dita hanno una temperatura molto più bassa, cioè di soli 24° ed anche 22°.