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capitolo xix. - l’ultima goccia di petrolio 179


Il mattino seguente riprendevano con lena la salita. Per economizzare il petrolio, avevano spento la macchina spingendo innanzi il velocipede che era più d’impiccio che di utilità su quelle chine, le quali diventavano più ripide e più scabrose.

I loro sforzi però non davano che scarsi risultati. Gli ostacoli crescevano ad ogni passo, la pendenza aumentava, i massi di ghiaccio si accumulavano per ogni dove costringendoli ad aprirsi una via con le scuri ed il freddo diventava così intenso da intirizzirli.

Non fu che verso la sera del 18 dicembre, cioè dopo otto giorni d’incredibili sforzi, che poterono finalmente giungere sulla cima di quella catena, dopo d’aver affrontato cento volte il pericolo di scivolare negli abissi o di farsi schiacciare dai ghiacci che precipitavano dall’alto.

Di lassù, a cinquemila piedi d’altezza, la vista spaziava su un immenso tratto di quella regione del gelo e delle nevi. A destra ed a sinistra si estendevano due immensi ghiacciai, due veri fiumi di ghiaccio in movimento, i quali scintillavano sotto i raggi del sole e che tuonavano sordamente e quasi senza interruzione. Al nord si estendeva la grande pianura che gli esploratori avevano percorsa nei giorni precedenti, e al sud un’altra immensa pianura ondulata, interrotta qua e là da alcuni picchi isolati, imporporati dal sole.

— Laggiù vi è il polo, disse Wilkye, che fissava avidamente quella nuova pianura. Ah! potessi giungervi presto e spiegare ai confini del mondo la bandiera della nostra patria!...

— Domani scenderemo su quella pianura, signore, disse Peruschi. Ho scoperto un passaggio che ci permetterà di effettuare la discesa e senza accendere la macchina. Basterà chiudere i freni e lasciarci scivolare.