Pagina:Salgari - Al polo australe in velocipede.djvu/182

174 al polo australe in velocipede


marcia per giungere al polo prima dello sgelo, ma gli ostacoli si moltiplicavano, poichè le fenditure diventavano ognor più numerose.

I ghiacci si spaccavano dovunque con sorde detonazioni, si squagliavano con estrema rapidità formando dappertutto dei torrenti e degli stagni, e parecchie volte la macchina corse il pericolo di cadere entro quelle fenditure.

Wilkye cominciava a diventare inquieto; non aveva preveduto quegli ostacoli che minacciavano di prolungare indefinitamente quella corsa verso il polo. Non era la mancanza di viveri che lo preoccupava, ben sapendo che quello sgelo avrebbe attirato di certo sopra quelle pianure gli uccelli polari e le foche, ma la provvista di petrolio che rapidamente scemava e non doveva tardare ad esaurirsi, se quella marcia si prolungava.

È bensì vero che poteva sciogliere la sua macchina e convertirla in biciclette, ma sarebbe anche stato costretto a impiegare un tempo tre e forse quattro volte maggiore, e nel ritorno farsi sorprendere a mezza via dai primi geli e dalle prime nevicate.

Nei quattro giorni seguenti, la loro marcia non aumentò. Gli ostacoli crescevano sempre, costringendoli ad arrestarsi ad ogni istante per trasportare la macchina al di là delle fessure od a girarle raddoppiando la via.

Il 10 dicembre, poco dopo il mezzodì, giungevano ai piè di quella grande catena di monti che avevano scorto parecchi giorni prima e che avevano chiamati Monti Baltimòra. Dalla loro partenza dalla capanna avevano percorso quattrocentosessanta miglia consumando tre quarti della loro provvista di petrolio ed un buon terzo dei loro viveri, mentre per giungere al Polo Australe dovevano ancora percorrere circa mille miglia, non avendo raggiunto che il 73° di latitudine.