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capitolo xviii. - lo sgelamento 169


— È un vero braccio di mare, signore, poichè è acqua salata. Scorre però come un fiume.

— Potete risalire?

— È impossibile; la sponda è tagliata a picco ed alta almeno sei metri, e poi sono così intirizzito da non potermi servire delle membra.

— Potete resistere alcuni minuti?

— Lo spero.

— Blunt, correte a prendere delle funi; ve ne sono nella cassa.

Il velocipedista partì correndo e poco dopo ritornava con una fune lunga parecchi metri. Wilkye fece un nodo e gettò un capo al naufrago, il quale lo afferrò con forza sovrumana.

— Stringete bene, disse Wilkye.

— Non la lascio, signore.

— Issa!...

Aiutato da Blunt, che era dotato d’una forza erculea, ritirò lentamente la grossa fune alzando il giovanotto il quale la stringeva sempre con disperata energia. In pochi istanti toccò la sponda superiore e cadde fra le braccia dei compagni. Il disgraziato era ridotto in tale stato di assideramento, da non potersi neppure reggere in piedi; le sue vesti, poco prima inzuppate d’acqua, si erano quasi istantaneamente gelate e indurite in modo da formare un pezzo solo.

— Presto, alla macchina, disse Wilkye.

Soccorso da Blunt, lo trasportò presso il velocipede. Levò le coperte di pelle d’orso che dovevano servire al loro di letto, ve lo sdraiò sopra e gli strappò di dosso, non senza fatica, le vesti.

— Rizzate la tenda che ci accamperemo qui, disse a Blunt. Intanto datemi uno straccio di lana inzuppato di wisky.