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166 | al polo australe in velocipede |
— Non siamo venuti qui per fare una passeggiata ma per affrontare i pericoli del polo, disse Peruschi, con voce grave. Piuttosto di retrocedere e di perdere un tempo prezioso, io tento la sorte.
— Allora io la tenterò prima di voi.
— Mai, rispose. Voi siete il capo della spedizione e dovete essere l’ultimo.
— Ma ci sono anch’io, disse Blunt.
— Ma sei il più pesante di tutti, disse Peruschi. Ritirate la macchina; io vado a tentare la sorte.
Il coraggioso giovanotto, per essere più libero si sbarazzò della grossa giubba di pelle di foca e si avventurò arditamente sul ghiaccio, che nel mezzo si rialzava, formando una specie di vôlta.
— State in guardia, Peruschi, disse Wilkye.
— Non temete, signore, rispose il giovanotto.
Il ghiaccio, quantunque non dovesse più posare sull’acqua, pareva che presentasse una forte resistenza, poiché aveva cessato di scricchiolare sotto i passi del velocipedista il quale, incoraggiato da quel primo successo, procedeva speditamente..... Era giunto quasi nel mezzo, quando si udì improvvisamente un lungo crepitio e si videro disegnarsi su quella superficie delle linee biancastre.
Il giovanotto si era subito arrestato, e malgrado la sua audacia, erasi fatto pallido, mentre due grida di terrore sfuggivano dalle labbra dei suoi compagni che attendevano, trepidanti, l’esito di quell’ardito tentativo.
— Non muovetevi! gridò Wilkye.
Aveva appena terminato quelle parole che il ghiaccio si spezzò con fracasso, formando un buco semicircolare, vasto quanto il boccaporto-maestro d’una nave.
Il velocipedista ebbe appena il tempo di mandare un grido e sparve sotto la vôlta gelata, con un sordo tonfo.