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164 al polo australe in velocipede


Il velocipede riprese le mosse costeggiando il canale con una rapidità di venticinque miglia all’ora, essendo il ghiaccio perfettamente liscio.

Alle quattro pomeridiane, dopo d’aver percorso sessanta miglia, gli esploratori scoprivano una sponda che scendeva dolcemente nel canale. Furono chiusi i freni e la macchina scese o meglio scivolò per la china, giungendo sulla superficie dello stretto.

Un acuto crepitìo avvertì tosto gli esploratori che quel ghiaccio, rôso forse da una corrente tiepida e scaldato sopra dai raggi del sole, minacciava di cedere.

— Scendiamo! esclamò Wilkye precipitosamente. Se il ghiaccio si frange, siamo perduti.

Abbandonarono in fretta la macchina e retrocessero verso la sponda, temendo che da un istante all’altro si aprisse il vuoto sotto i loro piedi.

Una sorda esclamazione uscì dalle labbra di Wilkye.

— Maledizione! esclamò. Si direbbe che il polo è assolutamente inaccessibile agli uomini e che una potenza misteriosa lo difende, ma...

S’interruppe bruscamente e si curvò verso la superficie gelata. Sotto quella crosta, si udiva un sordo mormorio, come se una rapida corrente d’acqua fuggisse.

— Comprendo, diss’egli. Sotto questo ghiaccio vi è il vuoto.

— Perchè, signore? chiese Peruschi.

— Questo mormorio m’indica che l’acqua si è abbassata e che scorre liberamente.

— Dunque il ghiaccio è rimasto sospeso?

— Sì.

— E non potrà sostenerci?

— Forse, passando ad uno ad uno.

— È un tentativo che bisogna fare?