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158 | al polo australe in velocipede |
divorava la via procedendo senza scosse e senza slittamenti, quantunque rimontasse la costa che era erta assai. Le gomme dentellate pareva che si aggrappassero alla liscia superficie dei ghiacci e guadagnavano terreno con tale velocità, che in pochi minuti i tre esploratori si trovarono sulla cima delle colline.
Volsero gli sguardi verso la costa e scorsero, fermi dinanzi alla capanna, Bisby ed i sei marinai, che li salutarono per l’ultima volta agitando i loro berretti.
— Addio, amici! gridò Wilkye.
Un hurrà fragoroso fu la risposta, poi quei sette uomini scomparvero. Il velocipede, superata la cima, scendeva l’opposto versante, seguendo un burrone ricoperto di ghiaccio, muovendo diritto verso le immense pianure che si estendevano verso il sud, fino ai piedi della lontana catena di montagne scorta il giorno innanzi.
I tre velocipedisti, mettendo in opera i freni per impedire qualche pericoloso scivolamento che poteva produrre dei guasti al motore, giunsero felicemente nella pianura, la quale scintillava sotto i raggi dell’astro diurno, come un immenso specchio.
La temperatura non era più rigida come sulla costa: oscillava fra i 3° ed i 5° centigradi sotto lo zero, accennando a rialzarsi allo zero, e qua e là si vedevano le tracce d’un imminente sgelo. Infatti dalle alture cominciavano già a scendere dei piccoli torrentelli che andavano a perdersi nella pianura e sotto al crostone di ghiaccio che copriva la terra, si udivano di quando in quando dei muggiti, che parevano prodotti dallo scorrere di grossi torrenti. Qua e là s’aprivano poi delle fessure, dei lunghi crepacci che dovevano però rinchiudersi durante la brevissima notte, e dovunque si udivano crepitii e detonazioni.