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capitolo xiv. - la separazione 133


Quei dieci uomini si caricarono di legname e si diressero verso la costa che era lontana solamente sei o settecento metri. Trovato un luogo, ai piedi di una grande rupe che doveva ripararli dai gelidi venti del sud, Wilkye, aiutato da Bisby diede mano alla costruzione, mentre i marinai ed i due velocipedisti tornavano sul banco per riportare gli altri pezzi.

L’erezione di quella capanna non doveva essere lunga, poichè i legnami erano stati costruiti appositamente e numerati. Bastava unire i diversi pezzi e saldarli con poche viti.

Tre ore furono sufficienti per ottenere un comodo ricovero, a due tetti spioventi, diviso in quattro stanze, lungo dodici metri e largo sei. Le tavole erano così unite da impedire l’accesso al freddo, ma Wilkye e Bisby, per conservare meglio il calore interno, turarono ermeticamente le fessure mediante strisce di grossa carta incatramata, come usano i coloni danesi della Groenlandia e gl’Islandesi.

Per evitare il contatto col ghiaccio, stesero in tutte le stanze della grossa tela da vele, sovrapponendovi dei tappeti di feltro per meglio combattere l’umidità che in quei climi può essere causa di serii malanni.

Infine nella stanza centrale, che doveva essere il salotto da pranzo, collocarono una stufa di ferro, fornita d’un tubo assai curvo, per impedire che il calore si espandesse troppo facilmente al di fuori.

Bisby era più che soddisfatto e non finiva di ammirare e di lodare le comodità di questa casetta, che egli chiamava pomposamente «palazzo d’inverno». Faceva progetti sovra progetti; si prometteva di dare dei festini da ballo, di passare delle serate allegre e soprattutto di offrire dei pranzi poco meno che luculliani. Contava poi specialmente d’ingrassarsi accanto alla stufa e per serbarsi i