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capitolo xiii. - la terra di palmer 119


lare dalle onde. Svegliatosi bruscamente al rumore dell’elica, aveva subito cercato d’inabissarsi, ma tre marinai, che si erano affrettati ad armarsi di fucili, lo avevano colpito al capo con tale precisione da fulminarlo.

La scialuppa messa tosto in acqua fu spinta verso l’elefante marino il quale fu rimorchiato sotto il tribordo della goletta. Si dovette mettere in opera il verricello a vapore per issare quella massa enorme, che pesava non meno di tremila chilogrammi.

Fu subito fatto a pezzi, gli venne estratta la lingua che diventa squisita quando è tenuta in sale per qualche tempo, levato il cuore che non è cattivo quantunque sia duro e tiglioso, e venne raccolto il grasso per farlo fondere e quindi filtrare. Il carcame che non serve a nulla, essendo la carne di questi colossi estremamente impregnata d’olio e coriacea, fu gettato in mare a pasto dei pesci.

La goletta si era intanto rimessa in moto e filava lungo le coste della Terra di Palmer, per raggiungere lo stretto di Bismark, punto scelto per lo sbarco della spedizione americana. Il capo Grönland, che è situato all’estremità di quella specie di penisola o isola che sia, che si distende fra la baia di Dalhnam e il canale di Roosen, era già visibile ed in mezzo ai ghiacci si distinguevano pure le isolette di Paul che formano un piccolo gruppo.

Di chilometro in chilometro che la Stella Polare avanzava al sud, la temperatura diventava più fredda, quantunque l’estate si appressasse. Il sole non poteva vincere le correnti d’aria del sud, che diventano eccessivamente fredde passando sopra gli immensi ghiacci ed i deserti di neve del continente australe.

Nondimeno lo sgelo era cominciato ed aumentava dalle undici antimeridiane alle cinque pomeridiane. I ghiacci