Pagina:Salgari - Al polo australe in velocipede.djvu/119


capitolo xii. - il continente australe 111


Quel comodo porto, che può contenere centinaia di navi, si chiama di Foster dal nome del navigatore che lo scoprì, ma la maggior parte dell’anno è impraticabile in causa dei ghiacci che lo bloccano.

Le coste dell’isola apparivano selvagge e in gran parte coperte di neve; il monte che si eleva sulla spiaggia del nord-est, sembrava un gigantesco cono di ghiaccio, il quale scintillava come un immenso diamante ai raggi dell’astro diurno.

Migliaia e migliaia di uccelli nidificavano su quelle coste, sui terreni sgombri di neve. Sull’orlo delle rupi, schierati come tanti soldati, seduti sulle loro zampe che sono situate quasi all’estremità del corpo, si vedevano bande di pinguini, stupidi volatili che mandavano rauchi e discordi grida, vedendo passare la nave. Vi erano poi battaglioni di Ænops aura, specie di avoltoi che vivono d’escrementi di foche e che quando vengono uccisi, cadendo, vomitano una quantità di sterco così puzzolente, che non si può accostarsi per raccoglierli!

Furono pure vedute anche alcune foche; erano Otarie jubate, chiamate anche leoni marini. Misuravano due metri di lunghezza, avevano il pelame giallo-bruno, e al collo avevano una corta criniera che dava loro un aspetto feroce, quantunque invece siano animali paurosi.

Si scaldavano al sole, in prossimità delle spiaggie, per essere pronte a guadagnare il mare al primo segnale di pericolo. Anche un elefante marino fu veduto nuotare presso le coste, ma appena vide la goletta si tuffò e non fu più possibile osservarlo, con grande dispiacere di Bisby, che avrebbe mangiato volentieri la tromba del mammifero.

— Mi rifarò cogli uccelli appena saremo sbarcati, diss’egli a Wilkye. Faremo degli arrosti colossali.