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scordiate del paese de’ selvaggi. Ah! mi scorderò piuttosto di me stessa che del luogo dove sono nata, e dove voi vivete: ben piuttosto paese di selvaggi è questo per me, poichè vi passo una vita solitaria, non avendo alcuno a cui poter parlare dell’amore che vi porterò finchè avrò vita.

«O mia carissima e dilettissima mamma.

«La vostra ubbidientissima e tenera figlia

Virginia De la Tour.


«Io raccomando al vostro amore Maria e Domingo, i quali hanno avuto tanta cura di me fanciullina; fate carezze per me a Fedele che mi trovò nel bosco».

Paolo rimase meravigliato fuor di modo, vedendo che Virginia non avea posta neppure una parola per lui, ella che si era ricordata di tutti, perfino del cane; ma egli non sapeva che per quanto lunga sia la lettera di una donna, il pensiero suo più caro si trova sempre in fine.

In un poscritto Virginia raccomandava a Paolo particolarmente due specie di semenze, quella delle mammole e quella delle vedovelle. Ella gli dava alcune istruzioni relative alla natura di questi fiori, ed al sito che bisognava scegliere per collocarli. «La mammola, diceva, dà un fiorellino di color violetto oscuro, ed ama nascondersi sotto i cespugli; ma la deliziosa sua fragranza la palesa sempre». Gli commetteva dunque di seminarla sulla sponda della fontana al piede del suo cocco. «La vedovella, continuava ella, dà un bel fiore d’un turchino languido, con un fondo nero, punteggiato di bianco, pare quasi ch’ella sia vestita a lutto, ed è appunto per questo che la chiamano fior di vedova: le piace di stare ne’ luoghi aspri ed esposti ai venti». Lo pregava quindi di porla sulla rupe dove ella gli avea parlato quell’ultima notte, e di porre per amor di lei a quella rupe il nome di Rupe dell’addio.

Ella avea posto queste due semenze in un borsellino d’un tessuto semplicissimo, ma d’un valore immenso agli occhi di Paolo, chè vi scorse un P ed un V legati insieme e formati di capegli, che per la grande bellezza loro conobbe dover essere di Virginia.

La lettera di quella sensibile e virtuosa fanciulla