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di bere all’invidiato calice della celeste voluttà. La luna tutte illuminava le cose del virginale suo raggio. Un caro, e blando venticello tra fronda e fronda dolcemente susurrava, ed il ruscelletto orgoglioso per le cresciute sue acque, rapido moveva a flagellare le sponde. Le dolci speranze eransi in me ridestate al suono delle sagge dottrine, come i teneri fiori eransi su’ loro steli drizzati al cader della pioggia ristoratrice. Il tumulto della mia anima erasi diradato all’udire i suoi detti, come al soffiare di Borea le nubi procellose eransi dileguate. La mia calma a quella s’assomigliava della natura, e la serenità della mia mente da quella vinta non era della stellata volta de’ cieli.