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ogni più recondita latebra: o immaginazione, tu se’ sì quella divina facoltà, che con benaugurata forza spingi l’uomo dabbene a sovvenire l’indigente, a confortar l’infelice, ed a spargere lagrime soavi all’udir le triste avventure, o d’amorosa donzella tradita, o di madre sull’incerto destino dell’amata sua prole palpitante, o d’uomo forte e magnanimo, cui avversa fortuna armi d’acuto ferro la destra, e lo costririga ad infierire contro se stesso, mal potendo più oltre tollerare la somma enorme delle sue sciagure! Oh qual pura voluttà sparge d’ineffabile dolcezza questo pianto, che tu esprimi da’ cuori gentili, le cui fibre sono temprate a ricevere le dolci impressioni, che loro vengono recate da nobile, e puro sentimento di compassione! Taccia la Diva che alle danze presiede, e non mi vanti i piaceri ch’ella procaccia. Una sola stilla di questo pianto soave, rende l’uomo ben più felice, che la folle gioja per cui dessa mena orgoglio cotanto; gioja menzognera, che solo stassi dipinta sui volti, e che punto non vale a calmare l’agitazione degli animi lacerati dalle cure mordaci.

Ma questo dono prezioso, che ci fa vivere in un mondo ideale, e ci trae del fango in cui stiamo sepolti per farci pruovare le forti, e gradite


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