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non lo farà del pari felice, come se la rosea salute preso in sua guardia lo avesse, se fra genti più probe concesso gli fosse l’aure di vita respirare, o se in seno di contenta mediocrità, e fra geniali occupazioni d’ingannar l’ore spesso in lor corso sì lente.

Ma, se l’uomo virtuoso non è però sempre l’uomo il più avventurato, non si dovrà per questo conchiudere, che la virtù tenue servigio gli renda, e quindi che poco, o nulla rilevino li suoi conforti. La felicità è uno stato dell’uomo, una maniera di esistere relativa, e non assoluta: dessa è come una linea, che per se stessa non è nè lunga nè corta, ma che questo o quello diventa, posta di un’altra al paragone; non altramenti la situazione dell’uomo, che assolutamente non è nè felice, nè infelice, comparativamente l’uno o l’altro diventa. Ora, se la virtù non potrà rendere il suo fido cultore del pari felice di chi, quanto lui virtuoso, sia inoltre più favorito dalla fortuna, dessa lo renderà almeno più felice di quello, che stato sarebbe, se, contaminato dal vizio, lacerato daiFonte/commento: Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/61 rimorsi, dal timore avvilito, e tormentato daiFonte/commento: Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/61 sempre rinascenti desiderj, perduto avesse il porto di vista, e con quello ogni confortatrice speranza.


Di-