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* xxiv *

LUngi dal Tempio, ove fa Dio dimora,
     Sirene incantatrici, lusinghiere,
     E lungi pur dalle contrade ancora,
     4Ch’ivi passeggia fra celesti schiere.
Voi l’alme a ruinar intente, ognora
     Mille, e mille tendete insidie nere.
     Guai a chi incauto voi ne segue, e onora,
     8Nuove di cieco Averno atre Megere!
Treman gli Abissi al scintillar d’un guardo
     Del possente Signor, e copron pure
     11Le faccie loro i Serafin coll’ali.
E voi tentate senza alcun riguardo
     A tanta Maestà, Femmine impure,
     14Di farvi idolatrar stolte, e mortali?



FU sempremai dono del ciel beltade,
     Nè vi ha chi negar questo o deggia, o possa;
     Ma fugge nel fuggire dell’etade
     4Fresca, e dagli anni tosto vien rimossa.
Non così a donna d’intelletto accade,
     Ch’onta non teme d’alcun tempo, o scossa;
     E allorchè morte il fragil corpo invade,
     8Ed esso, e fama non chiude una fossa.
Femmina dunque spiritosa, e saggia
     A mio parer dee preferirsi a quella,
     11Che di bellezza il pregio in sè sol tiene.
Pur mia definizione non oltraggia
     Graziosa beltà, quando rubella
     14A lui non sia, d’onde ogni ben ne viene.


Già