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90 | racconto decimo |
sionevole severità, e vi lessi il rimprovero mescolato all’affetto; sentii palpitare il suo cuore, non ebbi ardire d’imprimere un bacio sulle sue labbra. Io aveva la lingua attaccata al palato, un nodo mi serrava la gola, e i capelli mi parevano spine confitte nel cranio. Ho sofferto l’agonia della morte nel naufragio; ma non era da mettersi a paragone con quello spasimo. Dopo che il padre m’ebbe guardato, richiuse gli occhi, cercò una delle mie mani, la strinse con forza, e mentre io mi scioglieva in lacrime ed in singulti: «Almeno, disse con fioca voce, ti sei ricordato di me. Ora morirò in pace.» — «Perdono, padre mio, perdono!» potei esclamare alla fine. Ed egli riaperti gli occhi un’altra volta, con tenerezza mi disse: «Sì, ti perdono; Iddio...» E guardando il cielo spirò. «Ah! voi l’avete ucciso!» urlò subito la vecchia coprendosi la faccia. «Pur troppo! esclamai disperatamente, pur troppo sono stato io che l’ho ucciso. Io sono un mostro!»
Poi caddi svenuto sopra il corpo del padre, nè mi rammento d’altro, che d’essermi trovato qui in questo letto, dove in breve morirò anch’io. Ogni giorno mi sento diminuire le forze; ogni giorno il sangue che verso dai polmoni mi fa provare i tormenti dell’agonia. Finchè la mente mi ha retto, ho voluto notare le mie colpe ed i miei gastighi, perchè siano d’esempio e di correzione.
Io cominciai dall’esser pigro nelle più piccole cose. Un libro caduto e non raccolto subito, una faccenda rimessa al giorno dopo, una lezione fatta-