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la pigrizia 87

Una mattina il superiore venne a trovarmi. Aveva in mano una lettera; era accigliato. Sebbene da lungo tempo io fossi avvezzo a non curarne la severità, nonostante quella volta mi fece tremare al primo vederlo; e quella lettera che mi parve di mio padre, mi empì l’anima di sgomento: «Vostro pardre, egli disse in tono compassionevole, ha bisogno di voi, del vostro aiuto... Egli è infelice! Qual soccorso potete dargli? Un fallimento lo ha ridotto nella miseria. Ha dovuto abbandonare l’America; a quest’ora sarà a Napoli, e stenderà forse la mano per chiedere l’elemosina; qual soccorso potete dargli? Avete venti anni... E’ non ha risparmiato spese per educarvi... Cosa farete per lui? Sciagurato! Se egli sapesse tutto, gli dareste la morte. Ma... benchè tardi, la disgrazia vi farà ravvedere. Eccovi una borsa di denaro; andate a portarlo a quell’infelice; me lo restituirete quando potrete. Eccovi anche il vostro passaporto e il suo indirizzo. Fino da questo momento siete libero.» E lasciatami aperta la carcere, andò via.

Io rimasi atterrito, senza forza di alzarmi, nè di parlare. Mi venne un giramento di capo, un’arsione tormentosa alle fauci. Mi parve di veder mio padre comparso lì, davanti a me, nel posto del superiore, vestito da povero, in atto di rimproverare la mia sciagurata condotta; volli mettermi in ginocchioni per chiedergli perdono; ma stramazzai a viso innanzi sopra il terreno, e perdetti i sensi. Ritornato in me, credeva sulle prime d’aver sognato; ma ritrovata la