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la pigrizia 85

clusive le forze, le forze stesse del mio corpo erano diminuite a segno, che mi pareva d’essere inchiodato nel letto.

Quindi la mancanza di moto e l’intemperanza nel cibo mi fecero ammalar davvero; corsi rischio di soccombere, e passai due anni tra la malattia e la convalescenza. Quando fui guarito ne aveva dodici; e dopo questa lezione avrei dovuto ravvedermi. Ma intanto io era il più ignorante di tutti; appena sapeva leggere e meno scrivere e far di conto. Arrossii di me stesso, ma trovai facilmente una scusa nella lunga malattia; credei che l’assunto di raggiungere gli altri sarebbe stato ormai superiore alle mie forze, pericoloso per la debolezza della salute, e deposi ogni pensiero di correzione. I maestri non si presero più cura di me; fui creduto incapace d’imparare, e divenni il ludibrio del collegio. Alla pigrizia si aggiunse allora lo scoraggimento e il dispetto.

Mi trovava a quindici anni nella massima umiliazione, quando mio padre tornò dai suoi lunghi viaggi. Per pochi momenti godemmo d’esser l’uno nelle braccia dell’altro. Ma poi... oh, come fu amareggiata la gioia di rivederci! Accortosi egli della mia vergognosa condizione, fu preso da immenso dolore; ed io, io ebbi ancora la forza d’arrossire di me stesso, e fui costretto a nascondermi, a fuggire i suoi sguardi: «Misero me! aveva esclamato mio padre, ecco dunque perduto anche il figliuolo! E peggio che perduto! Se fosse morto, non mi dovrei vergognare di lui!» Quindi accusando fors’anco la