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ricopiati, ed allora pose mano alla copia delle odi di Anacreonte. Era già finita anche quella, allorchè il padre dovè di nuovo pensare a vendere i manoscritti. Con la solita rassegnazione andò allo scaffale per isceglierne alcuno, ed immaginate la sua maraviglia quando trovò accanto al Socrate la copia fatta da Guiniforte. Capì subito la generosa intenzione del suo figliuolo. Tuttavia gli pareva miracolo come in sì poco tempo un giovinetto avesse potuto trascrivere e tanto bene tutto il volume. Ma tosto rimesso dalla maraviglia e data luogo al giubbilo, chiamò Guiniforte e gli andava incontro. Guiniforte veniva in tanto con la nuova copia dell’Anacreonte. «Qui, esclamò il padre, qui nelle mie braccia. Io sopportava volentieri la mia miseria, perchè mi facevi coraggio tu col tuo ingegno e colla tua bontà; ora hai travato anche il modo di salvarmi dalla stessa indigenza. Oh! si tu sei l’esempio dei buoni figli.» Ma Guiniforte arrossendo rispose che non gli pareva di aver fatto cosa che meritasse lode, che a lui bastava di riceverne approvazione e di ottener licenza di seguitare. Ma il padre, dopo averlo stretto e baciato affettuosamente, lo guardò in volto, e riconobbe in un poca di pallidezza i segni delle notti vegliate. Allora si addolorò, dicendo che troppo gli sarebbe costato il riscatto dei manoscritti a danno della sua salute. Guiniforte asseriva di non essere stato mai tanto bene, se non quando poteva adoperare il tempo e le forze a pro del padre; e nacque allora una tenerissima gara fra tutti e due.